IL SALVATAGGIO DEL CASTELLO DI MONTECUCCOLO

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Il problema civico della nostra società montanara

IL SALVATAGGIO DEL CASTELLO DI MONTECUCCOLO

di G. Santini
da “Territorio e Beni culturali di una città montana, Pavullo nel Frignano”, 1979 pagg. 138-139.

Parlare di salvataggio del Castello di Montecuccolo, oggi che problemi tanto più importanti assillano lo sviluppo della nostra società, può sembrare di parlare di un falso o inesistente problema.

Ma questa è solo l’apparenza, perché, a ben riflettere evitando di “vedere” il problema, noi perdiamo una magnifica occasione di prendere coscienza del nostro passato e di impostare meglio le sorti del nostro futuro e, soprattutto, di quello dei nostri figli e delle generazioni a venire.

Anzitutto cosa significa Montecuccolo nella prospettiva del nostro passato? Secondo le concezioni correnti un “castello” è solo la dimora dei feudatari ed evoca quindi, come tale, ricordi tristi di un buio medioevo, nel quale purtroppo i libri di storia in genere ci inducono a vedere soltanto vicende di personaggi illustri e ben poco e solo di scorcio le più vive e importanti vicende degli uomini e delle popolazioni, che vissero e lavorarono, collegate ai castelli e alle pievi, nelle quali espressero, in modo meraviglioso, il senso della loro spiritualità, della loro laboriosità, delle loro passioni, ma anche della loro ansia di rinnovamento. Ogni “manufatto” del passato è invece propriamente e anzitutto “documento”, prodotto dal lavoro, dallo sforzo, dalla genialità degli uomini di ieri, dagli uomini comuni, umili, poveri, ma grandi nella fede e nella speranza, che hanno quindi impresso nelle pietre, nude o lavorate e nelle pareti della architettura civile, religiosa, domestica o militare e nell’ambiente che li circondava il forte segno della loro personalità, la loro “impronta” umana, il senso del loro passaggio. Insomma il castello di Montecuccolo non è soltanto il castello del Generalissimo dell’Impero, ma è lo specchio e la sintesi ancora presente delle generazioni di uomini che lo hanno costruito, mantenuto, fatto e rifatto, modificato e ampliato nei secoli, perché serviva loro da “luogo di rifugio” nei momenti delle guerre e delle invasioni. E’ il castello di Marzoli, che lo ha custodito umilmente per anni, non meno che di ciascuno di noi, nello stesso senso in cui le pievi di Rocca S. Maria, di Renno, di Trebbio, o il Duomo di Modena (fatte le debite proporzioni sul piano dell’arte) sono “beni” di tutti. In questo senso non vi è inesattezza più grande che quella di qualificare il castello di Montecuccolo come il castello di Raimondo.

Il discorso del castello o della pieve come “bene di tutti” si può ripetere, logicamente, per ogni pieve e castello d’Italia, ma a noi interessa proprio Montecuccolo, perché “nostro”, nel senso che fa parte del nostro più intimo orizzonte, non solo paesaggistico, ma mentale, psicologico, culturale, in una parola perché fa parte della nostra più piccola “patria” montana e quindi non è giusto che noi, con la nostra incuria, già durata troppo a lungo, ne priviamo i montanari dell’avvenire.

Detto ciò in un modo sommario e banale, – perché il discorso sarebbe molto più ampio e dovrebbe riguardare il problema della tutela dei beni culturali e ambientali in genere, investendo la responsabilità della classe politica e dirigente (ma anche quella degli uomini di cultura, che forse non hanno saputo spesso fare della loro cultura una cosa viva al servizio di tutti) ed oggi anche quella, a mio parere, delle associazioni private o pubbliche -, che cosa si può fare in concreto per Montecuccolo?

Un ultima possibile obiezione potrebbe essere quella di chi osservasse che nel contesto generale italiano ed emiliano ben poco significa il povero maniero di Raimondo, di fronte a monumenti assai più belli e importanti, che stanno cadendo in rovina. Anche questa impostazione risente del preconcetto che si debba salvare solo quanto è bello nel senso superlativo (e Montecuccolo è anche bello e “tipico” come esempio di architettura montanara), mentre quello che si deve salvare è quello che ha maggiore importanza storico-documentale, cioè per la storia civile e politica di ogni Territorio rurale, o Zona Montana (non potendosi certo pensare al restauro di tutti i beni culturali anche minimi, e in questi casi, la documentazione fotografica è già una forma di salvataggio). Occorre anche in questo campo una “scelta” o, se si preferisce, una pianificazione del salvataggio, che dovrà investire complessi architettonici omogei (nel caso di Montecuccolo la sua indubbia importanza e preminenza per la storia territoriale del Frignano, assume “significato” nel contesto delle altre Rocche frignanesi, come Sestola, Montese, Montefiorino, ecc., ma soprattutto dalla vicinanza e dal collegamento visivo e difensivo con Lavacchio, Gaiato, Semese).

In pratica nel “Pro Memoria” che segue è illustrata una “possibilità”, che non presume né di essere quella giusta, né tantomeno di essere la sola, di reinserire il castello in un “circuito vitale”, facendone un “Centro Studi sui Territori rurali italiani”, una volta restaurato con una spesa che, in questo modo, non sarebbe improduttiva, ma anche socialmente molto utile e vantaggiosa, specie per i nostri giovani. Le “Note” allegate, degli Architetti Lipparini e Palladini di Pavullo, che hanno collaborato con l’architetto Sacchetti, che per conto del comune di Pavullo ha redatto un progetto di restauro, sono un interessante esempio di traduzione in pratica di questa “idea”. Si potrebbe anche pensare a fare del castello un “Convitto di Valle”, seguendo l’esempio delle Vallate Alpine, a cura e spese della o delle Comunità Montane dell’Appennino Modenese, col contributo dello Stato e della Regione, senza che questa destinazione escluda l’altra del “Centro studi”, dato che quest’ultimo avrebbe, – se si potrà arrivare alla sua nascita ufficiale e formale -, in Montecuccolo solo una sede di rappresentanza e potrebbe usufruire del castello in periodi “morti” per l’altra destinazione a Convitto di Valle (periodi estivi). Sul tema della “spesa” necessaria basti pensare a quello che verrebbe a costare la costruzione “ex novo” di un Convitto di Valle, che è necessario e indispensabile in Pavullo come “centro scolastico” distrettuale del Frignano, il che significa che l’operazione sarebbe conveniente anche sotto il profilo economico, con un risparmio netto e un grande vantaggio per la storia e la cultura.

Infine è problema questo del Castello di Montecuccolo da discutere e dibattere ampiamente nelle sedi più opportune e col contributo di tutti, ricordando che in queste cose la concordia civica fa miracoli, come insegnano le Rocche e Castelli della nostra montagna eretti su picchi e dirupi da gente che nei miracoli ci credeva e appunto per ciò era capace di realizzarli.

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